OPI | Ordine delle Professioni infermieristiche Cagliari

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“La cura per rendere più efficiente il Servizio sanitario nazionale deve prevedere prima di tutto una terapia fatta sì di meccanismi per ottimizzare la spesa, ma ottenendo prestazioni migliori e più efficaci, con un occhio di riguardo alle persone fragili in ambito territoriale. E la ricetta è chiudere e attuare il nuovo Patto della Salute e attivare vere équipe multiprofessionali sociosanitarie dove tutti devono lavorare insieme, ognuno secondo le proprie caratteristiche, ma tutti sullo stesso piano”.

 

Lo ha affermato la presidente Fnopi Barbara Mangiacavalli, intervenendo al Forum Risk Management di Firenze nel corso del convegno “La professione medica e la sinergia con le altre professioni sanitarie”.

 

“Obiettivo – ha proseguito la presidente Fnopi – è dare ai cittadini ciò di cui hanno veramente bisogno, disegnando i nuovi modelli su ciò che segue la diagnosi e la terapia: l’assistenza continua e la continuità tra ospedale (dove devono realizzarsi équipe professionali e multidisciplinari che come unico scopo hanno il completo benessere del malato) e territorio, dove alla diagnosi e terapia deve seguire un’assistenza efficiente e di qualità che solo la multiprofessionalità può garantire”.

 

“I cittadini hanno bisogno di medici e infermieri, che lavorino in un sistema che non può essere quello attuale” ha spiegato Mangiacavalli. “Abbiamo la necessità che il sistema si ammoderni, cogliendo quelle che sono le evoluzioni delle professioni e in particolare quelle infermieristiche”.

 

“La chiave qui – ha concluso – è l’infermiere di famiglia e di comunità a fianco del medico di famiglia, nel rispetto delle specifiche autonomie, competenze e peculiarità, entrambi insieme e coordinati, per i diritti e la salute dei pazienti. Le parole d’ordine da oggi in poi sono multiprofessionalità e multidisciplinarietà”.

 

Per approfondimenti:

http://www.fnopi.it/attualita/forum-risk-management-multi-professionalita-e-multidisciplinarita-parole-d-ordine-del-nuovo-ssn-id2786.htm

 

 

Il Risk manager non si sceglie per titolo di studio ma, come prescrive la legge, in base a una “adeguata formazione e comprovata esperienza” nell’organizzazione e nella gestione del rischio. Lo ha sottolineato la Fnopi in occasione del recente Forum Risk Management di Firenze in cui sono stati presentati i risultati del lavoro svolto dal coordinamento delle Regioni nel 2019.

 

La preparazione necessaria al corretto svolgimento dei compiti del Risk manager, sottolinea Fnopi, è sostanzialmente rivolta ai temi dell’organizzazione, dell’analisi dei processi, di comunicazione, di formazione e, non ultima di cambiamento culturale. Attività che spesso, nei corsi di laurea degli operatori sanitari, non sono presenti.

 

È evidente quindi come la necessità di individuare le caratteristiche di un Risk manager della sanità non debba essere esclusivamente ricercata nel corso di laurea svolto ma nella formazione e nelle attività oggettive svolte cioè “con adeguata formazione e comprovata esperienza almeno triennale nel settore”, come appunto indica la legge.

 

Del resto, è noto a tutti che oltre il 90 per cento degli errori che si verificano nella sanità italiana non sono attribuibili a imperizia imprudenza o negligenza ma, invece, a carenze organizzative, scarsa proceduralizzazione dei processi e ridotto cambiamento culturale verso l’errore.

 

Il Risk manager, prima di una laurea in medicina, deve  avere dunque una “adeguata formazione e  comprovata  esperienza”  nell’organizzazione e nella gestione del rischio. E la Federazione fa un esempio per tutti: il Risk manager, direttore di struttura complessa, dell’Irccs “Rizzoli” di Bologna (istituto ortopedico famoso nel mondo), è un infermiere con laurea magistrale in Scienze infermieristiche.

 

 

Per approfondimenti:

http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=79231

In Italia medici e professionisti della sanità di origine straniera sono 75 mila ma negli ultimi ventiquattro mesi sono diminuiti di cinquemila unità.

 

“Molti professionisti – ha spiegato a Quotidiano Sanità il presidente dell’Amsi, l’associazione dei medici stranieri, Foad Aodi – vedendo che dopo 2-3 anni non hanno risolto i loro desiderata, soprattutto di natura economica, cercano lavori in altri paesi d’Europa e del mondo. Sono insomma professionisti, laureati, specialisti qualificati che noi perdiamo”.

 

In Italia ci sono al momento ben trentaseimila infermieri, ventimila medici, cinquemila odontoiatri, cinquemila fisioterapisti, altrettanti farmacisti e mille psicologi stranieri. Un esercito di professionisti ora però abbandona il nostro paese: laureati e specializzati che preferiscono andare a lavorare in università, ospedali e cliniche del Medio Oriente, del Nordafrica, dell’Europa dell’Est e anche della Gran Bretagna.

 

“Siamo preoccupati del ‘fuggi fuggi’ dall’Italia dei medici e professionisti stranieri”, continua Foad Aodi, “occorre inserirli nel Ssn prima che sia tardi perché sono un esercito di professionisti purtroppo invisibili. In un momento in cui si parla solo di immigrazione clandestina, di discriminazioni, di razzismo, siamo in mancanza di politiche per l’integrazione dai vari governi, visto che ad oggi è stato prodotto poco”.

 

Per approfondimenti:

http://www.quotidianosanita.it/lavoro-e-professioni/articolo.php?articolo_id=79151

Il Pronto Soccorso del Meyer rivoluziona il suo modello organizzativo e, dopo una sperimentazione di otto mesi, entra a regime l’infermiere di flusso, una figura che si propone come punto di riferimento e di raccordo per operatori sanitari e famiglie.